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L’articolo

La costruzione di un sistema di formazione per l’apprendistato

A partire dall’esigenza espressa dalle parti sociali nell’accordo del 1993 e nel Patto per il lavoro del 1996, e quindi recepita dal governo attraverso l’articolo 16 della legge 196/97, nel nostro paese è stato avviato un profondo processo di rivalutazione dell’istituto dell’apprendistato, con il duplice obiettivo di aumentarne la diffusione e rinforzarne la componente formativa.

Il rinnovato interesse per lo strumento si fonda infatti sulla consapevolezza del ruolo centrale della formazione quale fattore di crescita delle persone e quindi delle imprese. L’apprendistato è uno strumento utile ad accompagnare e sostenere l’ingresso dei giovani nel mondo del lavoro, aiutandoli a superare il gap scuola-lavoro con un processo graduale di avvicinamento al “mestiere”. Inoltre il percorso formativo dell’apprendista è arricchito da una formazione ester na all’impresa, che deve aiutare a rielaborare e quindi a sistematizzare l’insieme di competenze acquisite in modo informale sul luogo di lavoro, e soprattutto deve sviluppare l’attitudine all’ "imparare ad imparare” in un’ottica di longlife learning. A conferma del suo ruolo di strumento formativo, l’apprendistato è stato inserito fra i canali attraverso i quali può essere assolto l’obbligo di partecipazione ad attività formative fino al diciottesimo anno di età, accanto alla scuola e alla formazione professionale a tempo pieno.
Il “nuovo "apprendistato”, in realtà, presenta limitate modifiche rispetto al quadro regolamentare tracciato dalla legge n.25 del 1955, ma è grazie a tali modifiche che prende avvio un processo di riforma dello strumento e di graduale messa a regime della formazione per apprendisti. Il timore che l’introduzione del vincolo di 120 ore annuali di formazione esterna all’impresa producesse una diminuzione degli occupati in apprendistato, è stato del tutto smentito dai dati reali. Al contrario, dalla lettura dei dati dell’Oml si rileva che nel 1997 sono stati occupati 437.757 apprendisti; dunque, dopo un lungo periodo di declino, il ricorso delle imprese all’ap-prendistato è tornato ad aumentare, e dal 1997 al 1999 gli apprendisti sono cresciuti dell’11,3 per cento. E’ da sottolineare, tra l’altro, come all’apprendistato facciano sempre più ricorso anche settori non tradizionali, come il credito e le assicurazioni, all’interno di un quadro evolutivo che vede questo strumento utilizzato anche per professionalità di livello medio-superiore, al pari di quanto avviene in altri paesi europei. Sussiste comunque uno squilibrio nella dislocazione territoriale; infatti nelle regioni meridionali è presente solamente il 15 per cento degli apprendisti esistenti a livello nazionale.
Questo dato, che è influenzato dalla concorrenza del contratto di formazione lavoro, che per il sud offre condizioni di particolare vantaggio, produce come conseguenza una forte dispersione dei giovani apprendisti sul territorio e una maggiore difficoltà da parte delle regioni e delle provincie (che devono organizzare l’attività formativa) ad allestire corsi di formazione per un numero congruo di apprendisti aventi una qualifica omogenea.
Sembra invece che il “nuovo apprendistato” abbia comportato sostanziali modifiche nell’ "identikit” dell’apprendista, rispetto allo stereotipo tradizionale. Indagini realizzate dall’Isfol (sui giovani partecipanti ai sei progetti sperimentali) mostrano che il tradizionale cliché dell’apprendista dropout di 15-16 anni e addetto a mansioni dequalificate non è più valido: oltre il 30 per cento degli apprendisti del 2000 possiede un diploma di scuola secondaria, mentre l’età media è cresciuta e si aggira intorno ai 20 anni. Il rapporto con il lavoro è complessivamente costruttivo; solo il 17 per cento considera l’attività che svolge come “un modo per guadagnare”, mentre il 51 per cento lo ritiene “come l’inizio di un percorso professionale che intende proseguire”.
Il lavoro dell’apprendista non è dunque riconducibile alla categoria “usa e getta”, e questo conferma l’importanza e la necessità di arricchire questo percorso con una formazione esterna che ne potenzi ulteriormente lo sviluppo professionale. Per dare attuazione alla riforma realizzata attraverso l’articolo 16 della legge 196/97, e quindi avviare concretamente il nuovo canale della formazione esterna per l’apprendistato, nel 1998 il ministero del Lavoro ha finanziato sei progetti sperimentali a valenza nazionale per l’industria metalmeccanica e della installazione di impianti, l’industria tessile, l’industria edile, le imprese artigiane, le imprese aderenti a Confapi e quelle del settore turismo promossi sulla base di accordi tra le organizzazioni sindacali e datoriali e finanziati dal ministero del Lavoro con il contributo del Fse. Tali iniziative sperimentali sono decollate nel corso del 1999: dei 19.000 apprendisti destinati a essere coinvolti in interventi formativi biennali al 30 giugno scorso più dei due terzi avevano cominciato le attività e oltre un quarto era già alla seconda annualità. Le sperimentazioni si sono rivelate un banco di prova importantissimo per l’avvio delle attività e la messa a regime di una legge che richiede di costruire un sistema di formazione destinato a circa 400.000 giovani. Esse hanno permesso di verificare tutti i complessi meccanismi e le procedure che devono essere attuate per programmare e realizzare le attività corsuali, dalle modalità di individuazione degli apprendisti, alle procedure per la selezione dell’offerta formativa, dalla costruzione di una cultura della formazione per gli apprendisti, alla messa a punto dei materiali didattici. Grazie alle sperimentazioni ed ai meccanismi di accompagnamento che sono stati previsti (comitati di coordinamento e di pilotaggio con le parti sociali e con le regioni) su alcuni di questi aspetti è stata fatta chiarezza.
Forse, però, l’indicazione più importante, in termini di sviluppo strategico del sistema, riguarda i rapporti virtuosi che si sono attivati a livello locale tra le amministrazioni e le parti sociali
Infatti la scelta di operare per un ampio coinvolgimento delle parti sociali, sia a livello nazionale, nella predisposizione dei progetti quadro, che a livello territoriale, nel coordinamento delle attività di gestione, ha rinsaldato e in molti casi avviato una collaborazione fattiva fra soggetti istituzionali e soggetti sociali in materia di formazione professionale.
Si tratta di rapporti fondamentali per garantire una corretta gestione dell’offerta formativa, in quanto assicurano uno stretto raccordo con le esigenze delle imprese e dei lavoratori; tuttavia in passato questi rapporti, pur essendo stati alla base della scelta costituzionale di affidare alle regioni le competenze in materia formativa, non sempre sono stati assicurati o correttamente intesi. È invece necessario che nella programmazione delle attività vengano tenute presenti le esigenze del territorio: questo obiettivo può essere raggiunto solo attraverso un coinvolgimento pieno degli organismi che a livello territoriale rappresentano le istanze del mondo del lavoro, e sotto questo aspetto l’introduzione dell’apprendistato ha permesso di fare significativi passi in avanti. Dunque, per la costruzione del nuovo canale di formazione per l’apprendistato si sta lavorando lungo una doppia direttrice: da una parte la costruzione dell’offerta formativa, prima attraverso il decollo delle iniziative sperimentali e quindi con l’avvio dei Piani 2000 le attività finanziate con i 200 miliardi messi a disposizione delle regioni dalla legge finanziaria del 1999; dall’altra parte si sta operando per la definizione del quadro normativo. I decreti sui contenuti delle attività formative (179/99), sulle modalità di comunicazione (359/99), sul tutore aziendale (22/2000) spesso sono nati in risposta a problematiche specifiche sorte durante la realizzazione dei progetti sperimentali (emblematico il caso della difficoltà di reperimento degli apprendisti per la mancanza di banche dati dettagliate) e in ogni caso gli autori di tali provvedimenti hanno tratto vantaggio dell’esperienza delle sperimentazioni.
Alla vigilia dell’avvio dei Piani 2000, per completare l’esame sull’andamento e sui risultati dei progetti sperimentali si avverte la necessità di un approfondimento specifico dell’analisi per singoli settori, che evidenzi le specificità laddove le indagini Isfol hanno messo in risalto soprattutto le tendenze generali.
Una risposta a questa esigenza viene offerta dal convegno che il Formedil nazionale sta organizzando a Bologna per il prossimo 18 ottobre, con l’obiettivo di esporre i risultati e le problematiche emerse nella realizzazione del progetto per l’industria delle costruzioni.