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Immigrati

Anche Claudio, Leonardo e Mario provengono da famiglie che vivono di edilizia e i loro percorsi non sembrano molto diversi da quelli visti finora. Scuola dell’obbligo con più o meno fortuna, inserimento graduale e non sempre facile nell’edilizia. Ma le loro storie sono comunque differenti, perché sono condizionate dall’esperienza di migrazione.
Leonardo è nato a Paternò, in Sicilia, nel 1978, da nove anni vive in Toscana, a Rossignano.
Sono andato via insieme ai miei genitori nel 1992, e faccio il carpentiere. Mio padre fa il mio stesso lavoro, da circa 30 anni, mio nonno lavorava in campagna perché in Sicilia si lavorava di più in agricoltura. Mio padre aveva una ditta per conto suo, poi ha smesso per mancanza di lavoro, ha chiuso per fallimento e ha deciso di cambiare zona. Ha trovato lavoro subito in un’impresa di un amico qui in Toscana. Non ci siamo ambientati subito per via della mentalità diversa, però poi tramite la presenza di diversi amici ci siamo ambientati. Ora mi trovo bene, anche se la mia ragazza abita in Sicilia. Ma anche lei vuole venire in Toscana. Io ora vivo da solo perché i miei sono tornati in Sicilia per stare con i nonni.
Ho preso la licenza media e poi sono venuto in Toscana e ho cominciato a lavorare subito, nell’impresa di questo amico di famiglia. Poi anche a lui è venuto a mancare il lavoro e allora mi sono trovato un’altra ditta, sempre siciliani, però non mi assicurava, e incominciai a cambiare ditte, senza trovare nessuno che mi assicurasse, poi ho anche fatto infissi in alluminio in un’azienda dove sono stato otto mesi. Ma anche qui ho dovuto lasciare e così ho trovato questa ditta dove lavoro adesso. Ho finito l’apprendistato da quasi un anno, sono già operaio al secondo livello.
Difficoltà economiche, necessità di trovare un lavoro che in Sicilia non c’è più, congiunture sfavorevoli portano la famiglia di Leonardo ad emigrare. Anche in questo caso la rete di relazioni amicali consente al padre di proseguire la sua attività seppure non più come piccolo imprenditore ma sotto padrone. La scelta lavorativa di Leonardo è la conseguenza delle difficoltà e delle necessità della famiglia, anche se l’abbandono scolastico non sembra pesargli più di tanto. Il suo peregrinare tra mestieri diversi, la sua precarietà più lunga rispetto a tutti gli altri ragazzi ne contraddistingue la sua condizione di immigrato, evidenziata nel suo racconto dalle difficoltà di ambientamento e dalla contiguità di esperienze all’interno di imprese comunque di origine siciliana.
Un po’ sospeso tra Toscana e Sicilia, la sua condizione di muratore appare il risultato di scelte di altri a cui lui si è adeguato e ha saputo trasformare in opportunità. Tra i ragazzi è tra quelli che guadagnano meglio. L’ambiente edilizio gli ha riconosciuto le sue capacità e la sua tenacia, ma nonostante questo - come vedremo - resta aperta la porta per scelte diverse, forse questa volta più autodirette.
Continuità e contiguità sono anche le caratteristiche dell’esperienza fin qui maturata da Mario, cinque anni più giovane, di famiglia napoletana e, come tiene a sottolineare non casualmente, con due fratelli che studiano all’alberghiero, io invece ho la licenza media. Ho scelto di andare a lavorare perché conveniva alla famiglia, io mi ero anche iscritto a scuola, poi però ho trovato lavoro e ho deciso di smettere con la scuola.
Anche in questo caso è la condizione economica difficile a comportate l’abbandono scolastico, ma in questo caso la rinuncia appare più dolorosa, probabilmente riletta anche alla luce del percorso lavorativo successivo che, come per Leonardo, appare caratterizzato da un misto di precarietà e di difficoltà di inserimento. Anche per Mario è la rete amicale originale a costituire l’ambito di riferimento.
Mio padre è muratore dipendente, mio zio anche. Io ho finito la terza media qui, poi ho iniziato a lavorare e ho fatto 6 mesi di piastrellista, poi il muratore in una ditta. Ora ho cambiato ditta, però faccio sempre il muratore. Già a Napoli, da piccolo davo una mano a mio padre, e ora me la cavicchio.
Poi ho cambiato perché non mi mettevano in regola, e dopo 6 mesi sono andato nella ditta di mio padre come apprendista. È una ditta di uno di Avellino che però ha sempre vissuto in Toscana, è un’impresa di tre operai che fa appartamenti, case, o ristrutturazione. Io ho fatto più ristrutturazione e mi piace anche di più. Quella era una ditta buona, però gli operai erano un po’ litigiosi.
Entrato giovanissimo in edilizia, Mario ha accumulato esperienza senza però ancora essere riuscito ad affermare le proprie capacità, stretto proprio da questa rete di relazioni che perpetuano una sostanziale subalternità, prodotto di una cultura familistica dominante a cui Leonardo sembra essersi più decisamente sottratto una volta rimasto solo.
Come per Leonardo il problema è riuscire ad acquisire un’autonomia sul piano delle scelte. La strada intrapresa da Mario è oggi quella di entrare in una nuova impresa di tipo familiare, ma il cui titolare è un imprenditore albanese, amico stretto del padre, anch’esso albanese, della sua attuale fidanzata. Scelta solo apparentemente sorprendente ed invece coerente con il suo percorso e con la sua tradizione familiare. Passare da un clan ad un altro cercando di migliorare la propria condizione, ma allo stesso tempo allargare il proprio ambito di autonomia.
Claudio ha un anno meno di Mario e come Leonardo è siciliano, di Partinico vicino a Palermo, da nove anni in un’altra regione, in questo caso il Veneto. Ma per Claudio la vita è stata meno difficile.
Mio padre ha lavorato prima per grosse ditte, ha fatto il capo cantiere, poi ha conosciuto un geometra e hanno messo su un’impresa assieme. A me è sempre piaciuto questo mestiere, così, finita la terza media, ho visto l’annuncio della scuola edile di Verona, e ho deciso di iscrivermi, intanto davo una mano a mio padre. Ho già fatto un anno, sto al secondo, e intanto ho iniziato a lavorare in un’impresa grande, di una ventina di operai. Stiamo facendo dei lavori di ristrutturazione in una fabbrica, io faccio da manovale e ogni tanto mi fanno provare a fare qualcosa, per imparare. Le cose le sapevo già fare, è stato un ripasso.
In questo caso il processo di integrazione è stato rapido e il percorso similare a quello di altri suoi coetanei provenienti da famiglie autoctone. La scuola ha svolto un ruolo di omogeneizzazione e ne ha orientato l’inserimento, con tutti i vantaggi e le agevolazioni offerte a chi comunque ha nel sangue il mestiere.
Le difficoltà a trovare lavoro appare come la caratteristica di chi invece è restato nel Mezzogiorno e una condizione del tutto estranea a chi vive al Nord. A confermare questa situazione, questa continuità del disagio è la vicenda di Marco, venticinque anni di Policoro, in provincia di Matera.
Mio padre fa il saldatore in una cooperativa polidrica, che si occupa di impianti idraulici, ma anche di edilizia. Ho fatto fino ala terza media, ho finito l’obbligo a sedici anni. Non era per me.
Poi sono andato a lavorare come idraulico in una ditta di Matera che stava a Policoro. Dopo poco più di un anno sono passato all’edilizia in quanto mi hanno licenziato perché era finito il lavoro a Policoro. Mi sono buttato sull’edilizia perché non trovavo altro, ho fatto il manovale, impastavo …Facevamo tutto, anche la carpenteria. Era una piccola impresa, lavoretti piccoli. Eravamo due dipendenti oltre al titolare. Qui sono stato due anni e mezzo. Mi ha licenziato perché non c’era più lavoro e così sono andato con un’altra ditta. Lì sono stato otto mesi, mi ha fatto fare il corso di apprendista ha preso i soldi e mi ha licenziato, per riduzione di personale.
Il lavoro effettivamente era poco e mi davano 50.000 lire al giorno. Come mi ha licenziato mi ha dato la qualifica di muratore. Adesso non essendoci niente faccio dei lavoretti per conto mio, in nero. Ho fatto un paio di preventivi. Se non resto a Palicoro il mio futuro resterà l’edilizia. A Palicoro no, non c’è più lavoro. Sto per partire per Firenze, dove ho un amico che ha un’impresa idraulica, spero di trovare da lui, e tornare a fare l’idraulico che è un mestiere migliore del muratore, più pulito, si sta meglio, si lavora al chiuso. Non è come il muratore che è sempre sporco, lavora al freddo, ti si spaccano le mani. L’idraulico è un lavoro migliore. Io l’ho imparato facendo un corso dell’Api. La scuola è utile perché di dà un mestiere. La mia famiglia non vorrebbe che io partissi, ma capiscono che non c’è lavoro, ti prendono per pochi mesi e poi sei di nuovo senza. Puoi lavorare in nero, ma male e per poco.
Percorso scolastico faticoso, un lavoro precoce come scelta obbligata in una realtà difficile, dove trovare un posto stabile appare estremamente improbabile. Inserito in una rete di relazioni che funziona male e che ne accentua l’emarginazione Marco passa da un lavoro ad un altro. L’edilizia è una condizione di necessità, non è una vocazione. Il contesto in cui Marco opera gli nega in qualche modo la possibilità di avere motivazioni sufficienti a restare. Si va dove è possibile trovare un lavoro, che in qualche modo si sa fare. Come per i genitori di Leonardo, Mario o Claudio la scelta è in una nuova rete amicale, che in un altro luogo, in un’altra regione sembra garantire maggiori opportunità di costruirsi una vita, garantendo anche più sicurezza. E in questo caso fare l’edile resterà una possibile alternativa