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Figli di una scuola perduta

Se per chi proviene da una famiglia che vive di edilizia, l’industria delle costruzioni appare come una scelta in qualche modo obbligata, sia nel caso a decidere siano i ragazzi, sia nel caso la volontà delle famiglie o la necessità delle condizioni economiche, per chi è approdato all’edilizia da altri ambienti sociali, il mestiere del muratore si tinge di colorazioni le più diverse e si riempie di forti motivazioni personali. Ciò è valido sia per quei ragazzi che abbandonano la scuola superiore dopo alcuni anni, sia per chi riesce, anche con un certo successo, a conseguire un diploma.
Matteo è nato a Gubbio nel 1977.
Mio padre lavora al centralino del comune di Gubbio, mia madre è casalinga, ho una sorella che frequenta l’istituto professionale. Io ho fatto fino alla terza media, poi mi sono iscritto all’istituto professionale, ma ho visto che non andava bene, e ho deciso di darmi al lavoro. Il lavoro l’ho trovato subito perché ho uno zio che aveva un’impresa e allora mi ha preso con lui. Questo nel 1996, ho cominciato a fare i pavimenti industriali, le piste di pattinaggio. Poi una volta un mio caro amico mi ha detto che gli serviva un operaio e sono andato a fare l’elettricista, ma non mi piaceva. Ho fatto il militare, poi il padrone della ditta dove lavoro ora mi ha chiamato, mi ha chiesto se volevo lavorare con lui.
Ho iniziato nel 1998. Io ero un tipo svogliato, andavo in giro e non studiavo mai. Preferivo andare in giro con gli amici, giocare a pallone…Qualcuno dei miei amici ha continuato fino al quinto superiore, e adesso fa l’elettricista in qualche ditta di Gubbio. Altri hanno fatto come me, infatti parecchi ragazzi lavorano in edilizia a Gubbio. La maggior parte degli amici miei lavora in edilizia.
Francesco è nato a Perugia nel 1979.
Mio padre è commerciante, mia madre lavora in sovrintendenza ai beni culturali, a Perugia. Poi ho due sorelle, una piccola che va a scuola, l’altra è laureata e fa il tecnico di laboratorio; sta all’ospedale di Perugia. Io non ho completato gli studi superiori, ho smesso al quarto liceo scientifico, ho la licenza media. Prima ho lavorato presso un salumificio, poi in una fabbrica di zanzariere, poi ho fatto il militare e ora sono in questa ditta a fare il muratore. Mi è sempre piaciuto, ho sempre aiutato i muratori vicino casa mia, anche quando ero piccolo, poi sono entrato qui anche perché il proprietario della ditta è mio zio…È il marito di una cugina di mia madre in realtà, però è un po’ una tradizione perché pure mio nonno ha fatto il muratore.
Figli di impiegati, di commercianti, famiglie dove le madri possono non essere casalinghe, dove si ritrovano fratelli o sorelle laureate, eppure da qualche parte poi improvvisa ritorna la tradizione. Il nonno muratore diventa per il nipote la memoria che si trasforma nel recupero di una vocazione. Figli di impiegati che intraprendono il corso superiore, ma che poi rallentano, frenano, abbandonano. È un meccanismo particolare, sul quale vengono ad incidere momenti particolari: stanchezza, rifiuto, contrapposizione, desiderio di libertà.
Flavio è nato a Cecina in provincia di Livorno nel 1977.
Mio padre è dipendente statale, mia madre è casalinga, ho due sorelle più piccole, una è andata a vivere con il ragazzo e l’altra ha 10 anni, e per lei sono un po’ come il padre. Con i miei ho un rapporto buono anche se trovano sempre scuse per lamentarsi. Fino alla terza liceo sono stato il ragazzo perfetto, pieno di qualità, pieno di possibilità, poi le donne mi hanno mandato un po’ in crisi…Mi sono mancati i piedi per terra, sono stato troppo farfallone, troppo sognatore. Ho fatto la terza innumerevoli volte, non frequentavo, non sapevo cosa volevo, forse la scusa è stata quella di innamorarsi, di pensare solo alle donne, in realtà forse era uno scappare dalle responsabilità. Un professore mi disse: “Quando capirai cosa ti è successo vieni a dirmelo, perché non ti mancava niente”.
Ho iniziato a lavorare, ho fatto le pulizie, il magazziniere, ho scelto di lavorare anche perché non volevo chiedere più niente ai miei. Avevo bisogno di confrontarmi, anche perché con la scuola avevo perso, volevo vedere cosa sapevo fare. Ho sempre lavorato serenamente, aspettando il militare. Ho fatto il militare e ho visto come funziona il mondo dei grandi; ho fatto amicizia con gente che veniva da altri mondi. Poi sono stato un po’ fermo, e ho approfittato dei pochi soldi che avevo da parte e mi sono iscritto a una scuola privata per prendere il diploma di geometra, perché quando alla gente gli dicevi che avevi la terza media, gli cadevi. È inutile, il titolo di studio è importante, e ci sono riuscito. Con sacrificio, perché mi sono messo a lavorare contemporaneamente alla scuola, a fare il manovale, dietro a due muratori, esperti, della ditta, che è composta da tre persone, di cui io sono il manovale. Poi c’è il titolare che è un ragazzo di 30 anni, e poi c’è suo padre. Io mi sono trovato quasi in una famiglia e questo mi ha aiutato a finire gli studi, perché io dalle sette alle sei lavoravo, alle sei iniziava la scuola. Non ho avuto mai un minuto per me stesso, ed è stato duro, però alla fine mi ha dato soddisfazione.
Il racconto di Flavio è una riflessione su se stesso, sulle ragioni dell’abbandono della scuola, sulla ricerca di un’altra realtà diversa dalla sua. All’origine c’è il desiderio di costruirsi una vita propria, sbagliando, cercando strade insolite, diverse da quelle a cui era abituato, lontane dai riferimenti della propria famiglia.
L’edilizia che per Francesco è una vocazione per Flavio è una scoperta. Per entrambi è stato, in modi diversi, un essersi ritrovati.
La scelta dell’edilizia è per Matteo e Francesco orientata, resta all’interno di una rete familiare: le imprese dove iniziano a lavorare hanno come titolare un parente. Ed è attraverso di loro che iniziano a lavorare e che - anche con l’aiuto della scuola edile - si ambientano con maggiore facilità, hanno l’opportunità di realizzarsi al meglio, Matteo di scoprire e Francesco di trovare conferma che la scelta fatta è quella giusta. Matteo e Francesco del resto provengono da un ambiente sociale dove il percorso dominante è un lavoro all’interno della rete familiare una volta acquisito un diploma. Per loro si è comunque trattato soltanto di anticipare i tempi, di aver avuto un addestramento prima degli altri, di aver guadagnato tempo e maturazione.
Per Flavio il discorso appare più complesso, il lavoro manuale, la fatica, l’incontro con delle persone semplici, ma soddisfatte del proprio lavoro ha avuto l’effetto di spingere Flavio verso un’autodisciplina, il ritrovamento dell’entusiasmo e della forza per riprendere gli studi e per acquisire il diploma di geometra. Attraverso il lavoro ha riscoperto l’utilità dello studio. Non soltanto un titolo, ma anche strumenti conoscitivi utili per il proprio lavoro, come poter leggere con sapienza un disegno, aiutare i suoi compagni a migliorare la qualità e la precisione del lavoro, aumentare l’integrazione con loro. L’esperienza di Flavio assume un carattere sicuramente minoritario rispetto alle altre ma allo stesso tempo risulta emblematico di percorsi marginali e della rilevanza che la motivazione assume nel trasformare un lavoro considerato di basso profilo in un’occasione di riscatto e di riqualificazione personale.
Marco si è diplomato, è nato e vive a Livorno. È tifoso della locale squadra di calcio, il suo libro preferito è Cuore amaranto: l’amaranto è il colore della casacca del Livorno calcio.
Marco è amico di Flavio e allo stesso tempo non vi sono due persone più diverse. Tuttavia anche Marco ha trovato nell’edilizia un modo per realizzare parte delle sue aspettative. Marco lavora in un’impresa edile particolare: disegna le strisce stradali, crea la segnaletica.
Ho cominciato a lavorare a venti anni. Ho conosciuto questo imprenditore e mi ha preso. È un lavoro bellissimo. Stai sempre in mezzo alle persone e fai un’opera di precisione. E quello che fai serve a tutti e lo puoi vedere tutti i giorni. È faticoso, perché oggi siamo soltanto io e il titolare.
Diego invece è nato a Perugia nel 1979 ed è perito elettrotecnico.
Mio papà è maresciallo nell’esercito, mia madre è casalinga. Ho un fratello perito meccanico e lavora in un ferramenta. Ma l’elettricista non mi piaceva, mi occupava troppo tempo, non ha orari, invece mi piaceva l’idea del muratore, poi ho trovato lavoro in una ditta dove lavora un amico mio, fa degli orari buoni, senza straordinari, una bella ditta. Perché ci ho pure un’altra attività, non mi va di fare solo il muratore. Non è che non ho voglia. Mi è sempre piaciuto lavorare, soprattutto restauro, case coloniche, e questa impresa fa questo genere di lavori, è una ditta grande, un 30 operai, diversi cantieri. Io è da settembre che lavoro, ho il contratto da apprendista, è il primo anno di scuola edile. Come prima impressione non è che il lavoro edile mi convince tanto, adesso si tende sempre a velocizzare, non c’è più il vero muratore, che sa fare il suo mestiere, lo fanno veloce ma male, tutti questi cottimisti…Poi ognuno impara a fare una cosa diversa invece a me piacerebbe imparare a fare tutto, altrimenti è come lavorare in fabbrica, non è più un lavoro creativo. Io non voglio fare l’intonaco per tutta la vita, voglio imparare il mestiere bene. Quelli dell’impresa sono intelligenti, ti ascoltano, sono disponibili anche a insegnarti, però c’è il rischio che diventi così.
I miei genitori non erano d’accordo e ancora adesso non sono d’accordo, volevano un lavoro che avesse una fama migliore, ora il muratore pensano che sia un posto dove uno va perché non trova altro. Gli unici contenti sono stati i miei zii, che hanno fatto anche loro i muratori, e capiscono l’importanza della fatica, del lavoro, perché i giovani questo non lo capiscono tanto. I miei amici comunque anche lavorano, quelli al di fuori del volontariato. Noi non siamo un’organizzazione, non chiediamo soldi, facciamo dei lavori e il ricavato lo usiamo per dei progetti della missione, a me, infatti imparare a fare il muratore mi serve pure per questo, per la missione.
Diego vuole partire. Ha scelto l’edilizia perché è un lavoro manuale, faticoso, serve a darsi una disciplina, ma anche perché vuole imparare a fare il muratore, a costruire mura, tetti e quant’altro possa servirgli da usare in una realtà lontana, per costruire case ed ospedali, per aiutare gli altri.
Come nel caso di Flavio siamo di fronte a percorsi particolari, potremmo dire estremi. Tuttavia per entrambi, come per altri ragazzi intervistati l’elemento determinante, la ragione che sta a monte della scelta dell’edilizia è una forte motivazione, la ricerca di se stessi, la valorizzazione di professionalità considerate povere e che invece richiedono attitudini particolari, che soprattutto sono finalizzate a produrre cose utili, a migliorare la vita degli altri.
L’approdo all’edilizia di chi registra livelli di scolarità più alte diventa così un’esperienza di alta emotività che viene trasmessa con orgoglio e compiacimento e grazie alla quale spesso si ritrova se stessi.