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I Vecchi e nuovi maestri

Si dice che la realizzazione di un’opera edile dia soddisfazione e contenga livelli elevati di complessità perché ogni volta, al contrario della produzione industriale, si crea un prototipo: ogni volta è un’esperienza differente. E questa considerazione basterebbe a individuare in ogni cantiere qualcosa di diverso. Ma non si tratta soltanto di organizzazione della produzione o di tipologia dell’opera da realizzare. Ogni cantiere è diverso anche rispetto al modo in cui si accettano i nuovi arrivati, nel modo in cui la comunità di lavoro si relaziona al suo interno e all’esterno. Non è infrequente che si registrino insoddisfazioni, lamentele, incomprensioni che vanno a scapito della convivenza e del rendimento, ma anche della soddisfazione dei più giovani rispetto al lavoro. Quando sono arrivato - ricorda Matteo di Bergamo - è stata dura…Più che altro perché ci sono quelli che si attaccano alla paga, tipo: “Tu prendi come me e hai iniziato ieri, io è da dieci anni che lavoro…” e devi sempre dimostrare che il tuo lavoro è proporzionato a quello che prendi…Poi perché essendo l’ultimo arrivato devi cercare tu di saltare fuori e di farti vedere. Questo è l’inizio che per i più è fatto di difficoltà di inserimento, ma che per quelli più motivati e con esperienze di famiglia o derivate dai corsi intensivi presso le scuole edili diventa la palestra per imporsi, per affermarsi.
Io - è sempre Matteo a parlare - ho imparato tanto da mio padre, ho imparato più in un anno con lui che in cinque in cantiere. Perché trovi sempre l’operaio che è geloso di quello che sa fare, poi c’è quello che ti fa imparare perché dice poi ci sarai te al mio posto…Non serve neanche una grande intelligenza, bisogna entrare nella mentalità e nell’ambiente. Perché ci sono lavori che sembrano uguali, ma in realtà non sono mai gli stessi.
Daniele è d’accordo, ma tenta una giustificazione. A volte è difficile che mi facciano fare tante cose, perché non è che si fidano molto di un ragazzo così, di 23 anni… Ma in sostanza condivide l’opinione di Matteo, però, pian piano, facendo vedere quello che sai fare…
Complessivamente, tuttavia, stando ai risultati del questionario, il giudizio sui rapporti con i compagni di lavoro appare positivo (41 per cento) se non addirittura molto positivo (poco meno del 38 per cento). Gli scontenti sono meno del 20 per cento. Sicuramente il cantiere è un luogo di elevata socializzazione, di comunicazione, di scambio. Per molti giovani il cantiere costituisce la vera scuola professionale. Nei discorsi che si fanno sul cantiere il lavoro costituisce comunque soltanto il 26 per cento del totale della comunicazione verbale prodotta. E l’impressione è che a fronte ad una elevata domanda di conoscenza e di informazioni da parte dei giovani non corrisponda una risposta altrettanto attenta e premurosa. Del resto oggi nel cantiere si verificano situazioni sempre più differenziate. Coglie questa varietà Daniele che da un lato conferma che sì, nel cantiere si impara, ma aggiunge che questo dipende molto anche dai personaggi che hai frequentato nel cantiere, perché l’edilizia oggi come oggi è un porto di mare. C’è una professionalità alta o nulla…Passi dal geometra a zero. Le figure intermedie se ci sono valgono poco. Se uno ha studiato pretende di fare un tipo di lavoro di un certo livello, mentre l’altro fa tutto il resto.
La maggior parte dei ragazzi intervistati non è al primo lavoro, ha qualche anno di esperienza. Per loro la collocazione all’interno dell’organizzazione del cantiere assume una crescente rilevanza. Chi è al primo lavoro, si accontenta, cerca un proprio ruolo, si difende. Chi invece ha più esperienza non si accontenta e chiede rapporti più egualitari e talvolta tende ad assumere ruoli di leadership. Dal questionario emerge questa articolazione. Se, infatti, la situazione è quella di una ampia maggioranza in condizione di dipendenza da altri, oltre il 73 per cento, si registra una percentuale significativa dove i rapporti di lavoro si basano su una sostanziale eguaglianza gerarchica, vuoi per la dimensione dell’impresa, vuoi per un’organizzazione del lavoro molto più frammentata e impoverita di qualificazioni professionali. Cresce comunque la richiesta di rapporti più paritari - il 53 per cento chiede che in cantiere si sia considerati tutti eguali - e allo stesso tempo la rivendicazione a ruoli, come si è detto, di comando. Il 36 per cento vorrebbe, infatti, avere altri sotto di sé. Siamo probabilmente di fronte ad una dichiarazione di intenti a fare carriera, a diventare caposquadra o capocantiere.
Si diceva prima che nel cantiere comunque si impara. E si impara non solo chiedendo ed avendo risposte, ma anche e secondo la maggioranza degli intervistati soprattutto osservando ed imparando.

Come hai imparato il tuo lavoro?

Totale Nord
Totale Centro
Totale Sud
Totale Italia
*
203
100
12
315
-
5
2,2
1
1,0
0
0,0
6
1,7
a
73
31,6
30
30,0
4
33,3
107
31,2
b
32
13,9
14
14,0
2
16,7
48
14,0
c
121
52,4
55
55,0
6
50,0
182
53,1
231
100
12
343

*
numero questionari
-
non risponde
a
mi è stato spiegato
b
chiedo continuamente
c
osservo e imparo

Il fatto che sul cantiere si impari non è, tuttavia, un riscontro generalizzato. Il 72 per cento degli intervistati lo conferma, ma un 28 per cento lo nega. è una risposta che contiene qualche elemento di ambiguità che va sciolto. Dalle testimonianze raccolte emerge la diffusa presenza di figure familiari tra coloro che hanno per primi introdotto i giovani al mestiere del muratore e in molti casi essi restano i principali maestri.
Talvolta si sottolinea anche la contrapposizione tra l’apprendimento attraverso il padre, lo zio o il nonno e le difficoltà a crescere professionalmente negli attuali cantieri. Ma, come si è detto, le realtà sono molte diverse, tant’è che si registrano casi in cui si riscontra un’ampia disponibilità a trasferire competenze e a offrire insegnamento.
Questa diversità è sintetizzata da Andrea: mi hanno messo con il capo cantiere con cui sono adesso e lui mi trattava come se fossi il figlio, e mi spiegava tutto. Ne ho trovati altri che non mi insegnavano niente perché avevano paure che gli rubassi il lavoro. A questo non importa perché l’anno prossimo va in pensione.
Alla domanda se ha qualcuno che gli insegna Daniele risponde che nella nuova impresa c’è un capo cantiere che ti dice che cosa devi fare e tu lo fai. Ma se devo fare il lavoro con uno, è lui che mi spiega quello che devo fare.
E il suo commento è una dichiarazione di buon senso, ma che spesso costituisce una specie di spartiacque per restare o abbandonare: la comunicabilità è importante, se trovi un ragazzo un po’ paziente che ti rispetta anche se sei un po’ più lento, va meglio che se trovi uno che ti urla, che poi stai sempre incavolato. Molto è questione di fortuna, di incontri favorevoli a cui si contrappongono situazioni, viceversa, in cui prevale l’indifferenza, se non il contrasto, come nel caso di Pierpaolo di Perugia.
Io ho già girato due cantieri. La prima esperienza è stata abbastanza positiva, anche perché mi hanno messo con un ragazzo giovane, 25 anni, che mi insegnava, aveva pazienza. Poi nel nuovo cantiere mi sono trovato male, perché il capo cantiere era poco paziente, se facevi male una cosa o non andavi tanto veloce ti riprendeva in brutto modo. E io forse, anche perché ho studiato, perché se c’è più cultura riesci anche a comunicare meglio. E alla fine se ti trovi male, poi torni a casa incavolato, frustrato, dici “ma chi me lo fa fare”, ma alla fine è una scelta tua, e allora dici va beh, sopporto…Oppure cambi lavoro, o ditta.
Il datore di lavoro di Damiano si limita a dire cosa fare, poi va a prendere i lavori. Comunque quelli che lavorano con me hanno molta esperienza e mi spiegano loro. Ma chi mi ha insegnato è stato soprattutto mio nonno, che ancora adesso mi aiuta, e mi consiglia più di tutti. È colpa sua se sono così, ma io sono contento.
Stesso discorso per Giandomenico di Matera, a dimostrazione che la continuità familiare è un dato generalizzato in tutto il Paese: il mio maestro, il vero maestro è stato mio nonno, con lui ho imparato il mestiere fin da piccolo, da quando d’estate andavo a lavorare con lui e con mio padre.
Anche per Matteo di Gubbio l’apprendimento è passato per una persona di famiglia. Mio zio mi teneva sempre vicino a lui, per insegnarmi, è stato il mio primo maestro. Però quel lavoro era molto faticoso, dovevi lavorare la notte, era pesante. Poi ho trovato altri maestri, soprattutto un ragazzo che lavora con me, di 30 anni. Lui sa fare tutto e mi ha insegnato molto.
Anche Francesco di Perugia si è affidato ad un giovane compagno di lavoro, ma sono sempre i più anziani a svolgere un ruolo di maestro, di capomastro. C’è un ragazzo, bravo, che ha trent’anni, poi c’è anche un pensionato che è stato riassunto che è quello che mi insegna di più ed è contento di mostrarmi le cose. Si, aggiunge Mario, gli operai specializzati ti dicono, stai attento, questo è pericoloso...
La ricchezza e la varietà dei casi trova un riscontro preciso nelle risposte al questionario. L’incertezza ad indicare un solo responsabile della crescita professionale sembra ribadire che il processo è articolato e ad esso contribuiscono una pluralità di figure e di persone, anche tra quelle indicate dalla domanda: un compagno di lavoro, il datore di lavoro, un operaio specializzato, il capocantiere.

Chi, in particolare, ti ha insegnato?

Totale Nord
Totale Centro
Totale Sud
Totale Italia
*
203
100
12
315
-
70
34,5
47
47,0
2
16,7
119
37,8
a
55
27,1
15
15,0
8
66,7
78
24,8
b
12
5,9
10
10,0
0
0,0
22
7,0
c
10
4,9
7
7,0
0
0,0
17
5,4
d
3
1,5
1
1,0
1
8,3
5
1,6
e
0
0,0
10
10,0
0
0,0
10
3,2
f
25
12,3
10
10,0
1
8,3
36
11,4
g
28
13,8
0
0,0
0
0,0
28
8,9
203
100
12
315

*
numero questionari
-
non risponde
a
un compagno di lavoro
b
un operaio specializzato
c
un capopcantiere
d
un artigiano
e
un tecnico
f
il datore di lavoro
g
altro

Ma il numero alto delle non risposte sta anche a ribadire l’importanza degli insegnamenti familiari, in quanto nella domanda non si faceva alcun riferimento né al padre, né al nonno o allo zio.
E la conferma di questo intreccio tra insegnamenti familiari e apprendimento in cantiere ci viene ancora una volta da una testimonianza diretta, quella di Leonardo, con la sottolineatura dell’importanza del ruolo che spesso hanno i ragazzi un po’ più grandi particolarmente disponibili a trasferire le loro conoscenze.
Per Leonardo la persona che mi ha insegnato di più è quello con cui lavoro anche adesso in coppia, con lui ho un buon rapporto di amicizia, ci si consiglia a vicenda, è un ragazzo molto in gamba. Poi c’è stato mio padre, con cui ho lavorato due anni insieme qui in Toscana, e anche lui mi ha insegnato e mi da anche ora consigli.