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Velocità o qualità

Non sono molte le informazioni che sia dal questionario che dalle testimonianze è possibile avere sul modo di lavorare e sull’organizzazione in cantiere. Emerge soprattutto una tendenza da parte delle imprese a limitare l’attività in proprio e ad affidarsi a squadre di cottimisti per sempre maggiori segmenti produttivi. Il processo appare particolarmente diffuso al Nord, soprattutto in Lombardia e nel Veneto, molto meno nelle regioni centrali e del Mezzogiorno.
Questo cambiamento produce ovviamente effetti consistenti sulla qualità del lavoro, divenendo centrale il fattore tempo, che costituisce il principale parametro per i cottimisti, che in questo modo possono vedere aumentare i propri guadagni. Il minor costo rappresentato da questi ultimi rispetto al costo di una struttura interna si coniuga con le esigenze di aumentare la produttività determinata da una maggiore velocità di esecuzione. Vediamo allora che cosa succede, iniziando dalla provincia dove il fenomeno è più diffuso, se non generalizzato, quella di Bergamo.
Entrambi si chiamano Fabio e sono nati a Bergamo, ma il primo è figlio di uno dei soci titolari dell’impresa dove lavora. L’impresa del padre e degli zii di Fabio è un’impresa familiare, ma già da tempo la carpenteria viene affidata a subappaltatori.
Ci serviamo di squadre per la carpenteria, e poi noi rifiniamo, e poi vendiamo. Perché l’impresa è di quattro fratelli, c’è il geometra, il ragioniere, e poi io, mio padre e mio zio che lavoriamo in cantiere. Originariamente l’impresa era di mio nonno, che era impresario.
L’impresa dove lavora l’altro Fabio è invece un’impresa che opera soprattutto nell’edilizia residenziale privata e la scoperta delle squadre è una scoperta recente che riguarda un segmento tradizionalmente gestito dall’impresa, ma che ora diviene economicamente più vantaggioso affidare all’esterno.
Ultimamente a fare gli intonaci vengono le squadre. Adesso abbiamo provato già due squadre, e bisogna stargli dietro, perché lavorando a cottimo vanno sempre di fretta e sbagliano, la qualità un po’ si perde. Comunque non sono di qui, vengono dalla Sicilia. Comunque conviene perché gli operai non sempre rendono quanto una squadra, perché loro hanno la macchina e spruzzano, invece noi lo facciamo manuale.
Matteo ha ormai una certa esperienza e cresce il suo ruolo nell’impresa dove lavora attualmente. Si aspetta di diventare capocantiere a breve. Alla nostra domanda se usano le squadre risponde Si, per i lavori grossi, tipo carpenteria. Sono bravi, vengono dalla provincia di Bergamo, e sono anche attenti alla qualità, anche perché ci teniamo noi dell’impresa.
È una dichiarazione di fiducia e allo stesso tempo sottolinea il ruolo decisivo di controllo e di verifica che deve avere l’impresa principale, l’impresa committente, quella che subappalta il lavoro alla squadra.
Andrea invece, e qui ci siamo spostati a Verona, ha già responsabilità di capocantiere e la sua competenza specifica è proprio quella di gestire le diverse squadre che lavorano nel cantiere.
I dipendenti siamo solo io e l’altro capo cantiere, gli altri sono tutti cottimisti, tutte squadre diverse. L’impresa ha 2 dipendenti suoi. Ha diversi cantieri, molti capi cantiere e gruisti, di operai solo due, tre, gli altri sono squadre. Poi c’è una squadra di tedeschi che stanno mettendo i tetti di legno. Alcune sono più brave, altre meno. Sicuramente le imprese prendono le squadre perché costano molto meno, però il capo squadra garantisce che il lavoro sia fatto bene, sennò lo rifanno. Però non appena si vede che la squadra non funziona si cambia.
La lontananza tra il Nord e il resto del Paese è evidente nelle parole di Leonardo, che lavora in Toscana.
Se, infatti, al Nord proprio per la diffusione delle squadre diventa strategica la figura del capocantiere, qui, nel centro d’Italia la situazione e il modo di lavorare appaiono profondamente differente.
Dove lavoro io non esistono capi cantiere, perché tutti siamo capi cantiere e tutti siamo nessuno. C’è sempre quello che prende un po’ più di responsabilità, ma siamo noi a responsabilizzarci da soli. Lavorando a coppia, se succede qualcosa ognuno bada a se stesso. Ho lavorato con dei capo cantiere, e onestamente mi trovo meglio così, a leggere il disegno per conto mio, così, anche leggendo, uno impara. È difficile, perché ogni geometra fa disegni diversi, carica più o meno col ferro, ecc. Così sono più indipendente.
L’assenza di squadre viene confermata da Mario: da noi no non ci sono le squadre; noi facciamo tutto, anche il cemento armato, anche i pavimenti.
Questa proliferazione delle squadre, così come la crescente diffusione del cottimo, vengono spesso considerati dai ragazzi intervistati un vero e proprio stravolgimento del modo tradizionale di lavorare. Questo cambiamento viene per lo più criticato da parte di coloro che hanno studiato e si sono diplomati e che hanno scelto l’edilizia come un lavoro ricco di varietà e di interesse. Per tutti parla Diego di Perugia
Come prima impressione non è che il lavoro edile mi convince tanto, adesso si tende sempre a velocizzare, non c’è più il vero muratore, che sa fare il suo mestiere, lo fanno veloce ma male, tutti questi cottimisti…Poi ognuno impara a fare una cosa diversa invece a me piacerebbe imparare a fare tutto, sennò è come lavorare in fabbrica, non è più un lavoro creativo. Io non voglio fare l’intonaco per tutta la vita, voglio imparare il mestiere bene. Quelli dell’impresa sono intelligenti, ti ascoltano, sono disponibili anche a insegnarti, però c’è il rischio che diventi così. Poi ci sono le squadre, perché vanno più veloci, e chiedono meno per fare i lavori grossi, tipo i pavimenti.
La riorganizzazione produttiva centrata sull’uso delle squadre e la segmentazione del processo produttivo che stanno ridefinendo la stessa organizzazione del lavoro sembrano preoccupare molti dei ragazzi intervistati.
Una maggiore consuetudine con l’attività formativa, la frequentazione delle scuole edili, insieme a una maturazione professionale dove le motivazioni assumono una sempre maggiore rilevanza per proseguire e crescere all’interno del settore, spinge ad una riflessione collettiva sulle trasformazioni in atto. Dalle interviste emerge uno sforzo per andare a cogliere sia gli aspetti positivi che quelli negativi del processo in corso.
Il giudizio risulta condizionato dal ruolo che ognuno è chiamato a svolgere e dalla diffusione del fenomeno.
Così al Nord le reazioni sono improntate ad un maggior realismo, sono orientate verso un’accettazione critica della nuova organizzazione, tanto da attrezzarsi per andare a svolgere nuove mansioni alla luce di quanto sta accadendo. È il caso come abbiamo visto di Andrea o di Matteo, chiamati a gestire le squadre più che a gestire il cantiere.
Complessivamente, tuttavia, l’aspetto che sembra preoccupare maggiormente è quello dell’eccessiva velocizzazione delle attività, che comporta sempre più frequentemente problemi di controllo.
Nella nuova impresa edile del Nord scegliere le squadre dei carpentieri, degli intonacatori o dei pavimentisti, tre segmenti sempre più oggetto di subappalto, diventa strategico rispetto al risultato finale, sia economico che realizzativo. Ogni errore di valutazione si paga caro, da un lato nei casi meno gravi vuol dire perdere il vantaggio del minor tempo di realizzazione, che vuol dire più fatturato sia per l’impresa che per la squadra; dall’altro, nei casi peggiori, si tratta di dover sostituire la squadra inadeguata, con evidenti riflessi sui costi e sulla stessa organizzazione del lavoro.
Ed è così che questo malessere, questa incertezza sul piano della valutazione emerge nelle risposte al questionario là dove alla domanda sul come deve lavorare un muratore, la maggior parte risponde che non è importante andare velocemente, l’importante è fare il lavoro bene, in contrapposizione ad operare velocemente e facendo attenzione a svolgere il proprio lavoro in modo affidabile (38 per cento). Una percentuale di ragazzi inferiore a l’otto per cento privilegia la velocità sulla qualità del lavoro.
Pochi, soltanto il 3 per cento, non rispondono, confermando l’interesse personale al problema.

Secondo te un muratore deve saper lavorare...

Totale Nord
Totale Centro
Totale Sud
Totale Italia
*
203
100
12
315
-
5
2,5
5
5,0
0
0,0
10
3,2
a
16
7,9
8
8,0
0
0,0
24
7,6
b
80
39,4
38
38,0
3
25,0
121
38,4
c
102
50,2
49
49,0
9
75,0
160
50,8
203
100
12
315

*
numero questionari
-
non risponde
a
velocemente con risultato discreto
b
velocemente e faendo attenzione a svolgere bene il proprio lavoro
c
non è importante andare velocemente, l'importante è il risultato

Interessante è osservare il diverso peso dato alle tre risposte nelle tre aree del Nord, del Centro e del Sud del Paese.
Nel Mezzogiorno, infatti, nessuno reputa più importante la velocità della qualità e ben il 75 per cento la pensa esattamente al contrario. Vicini alla media invece Nord e Centro.
Questa resistenza al cambiamento si ripercuote anche sul giudizio che i giovani danno sull’utilità della specializzazione.
Tutti i ragazzi considerano la specializzazione un risultato da perseguire, ma all’interno di una concezione del lavoro edile che è soprattutto polivalenza. Per Matteo di Perugia anche se sei specializzato devi saper fare tutto, quindi è un po’ inutile, tutti sanno fare tutto.
Così per Daniele essa è utile, però devi comunque essere capace di fare tutto, se sei specializzato in muratura o in carpenteria devi saper fare un po’ dell’uno e un po’ dell’altro.
E anche per Paolo saper fare bene solo una cosa è importante fino a un certo punto. Per me è meglio saper fare un po’ di tutto.
La chiave interpretativa più appropriata ce la offre probabilmente Andrea quando afferma che la specializzazione, insomma, serve di più ai cottimisti, perché devono saper fare un tipo di lavoro e basta, ma a un muratore non serve, perché - appunto - deve saper fare tutto.
E il questionario ancora una volta, nel gioco dei rimandi, ribadisce che l’impressione è giusta e che anche se non consapevolmente la specializzazione è un aspetto importante che però riguarda proprio quelle attività che oggi sempre di più sono appannaggio delle squadre di cottimisti.
Nessuno, infatti, mette in dubbio l’importanza di aver acquisito determinate specializzazioni, ma esse vanno inquadrate nel più ampio contesto delle trasformazioni in atto, da un lato, e delle aspettative e della domanda di soddisfazione professionale espressa dai ragazzi, dall’altro. Sfiora il 90 per cento il consenso alla specializzazione, ma quasi un quarto non risponde alla domanda successiva con la quale si chiede di definire in quali lavorazioni ti piacerebbe essere specializzato.

In quale lavorazioni ti piacerebbe essere specializzato?

Totale Nord
Totale Centro
Totale Sud
Totale Italia
*
203
100
12
315
-
47
23,2
25
25,0
1
8,3
73
23,2
a
30
14,8
12
12,0
2
16,7
44
14,0
b
14
6,9
8
8,0
0
0,0
22
7,0
c
3
1,5
1
1,0
0
0,0
4
1,3
d
0
0,0
0
0,0
1
8,3
1
0,3
e
4
2,0
2
2,0
0
0,0
6
1,9
f
1
0,5
0
0,0
0
0,0
1
0,3
g
0
0,0
1
1,0
0
0,0
1
0,3
l
21
10,3
10
10,0
0
0,0
31
9,8
m
4
2,0
2
2,0
0
0,0
6
1,9
n
3
1,5
4
4,0
0
0,0
7
2,2
o
1
0,5
0
0,0
1
8,3
2
0,6
p
15
7,4
11
11,0
1
8,3
27
8,6
q
7
3,4
2
2,0
0
0,0
9
2,9
r
1
0,5
1
1,0
0
0,0
2
0,6
s
3
1,5
1
1,0
0
0,0
4
1,3
t
9
4,4
6
6,0
3
25,0
18
5,7
v
11
5,4
2
2,0
1
8,3
14
4,4
w
2
1,0
2
2,0
1
8,3
5
1,6
z
27
13,3
10
10,0
1
8,3
38
12,1
203
100
12
315

*
numero questionari
-
non risponde
a
velocemente con risultato discreto
b
velocemente e faendo attenzione a svolgere bene il proprio lavoro
c
non è importante andare velocemente, l'importante è il risultato

Tra le risposte sfiora un altro 25 per cento il gruppo più consistente che si riconosce o che preferisce il mestiere del muratore. L’altra metà dei ragazzi privilegia, accanto alla conduzione delle macchine e in particolare delle gru (14 per cento), la carpenteria (12 per cento), la posa dei pavimenti e dei rivestimenti (6 per cento), la pittura (un po’ meno del 5 per cento). E come si vede si tratta proprio di quelle specializzazioni che sempre di più vengono affidate all’esterno dell’impresa appaltatrice o promotrice di interventi pubblici o privati che siano.